Situata nella bassa pianura emiliana, la città di Ferrara sorge sulle sponde del Po di Volano che separa la città medioevale dal primitivo borgo di San Giorgio e delimita il confine con i nuovi insediamenti contemporanei a sud delle mura. Ferrara gode di un importante periodo aureo quando nel Basso Medioevo e nel Rinascimento sotto il governo della famiglia degli Este viene trasformata in un centro artistico di grande importanza non solo italiano ma anche europeo, arrivando ad ospitare personalità come Ludovico Ariosto e Torquato Tasso, Niccolò Copernico e Paracelso, Andrea Mantegna e Tiziano, Pico della Mirandola e Pietro Bembo. Durante il Rinascimento a Ferrara si realizza una delle più importanti progettazioni urbanistiche della storia europea moderna, l'Addizione Erculea, il primo esempio di pianificazione ragionata degli spazi urbani, commissionata nel 1484 dal duca Ercole I d'Este (da cui prende il nome) all'architetto Biagio Rossetti. La nuova parte della città viene chiamata Arianuova sia per la sua collocazione esterna al vecchio asse del castello medievale, sia perché connotata fino alla fine del XIX secolo da ampie aree verdi prive di edifici, dette "orti e giardini", interne alle nuove possenti mura rossettiane. Grazie a quest'opera architettonica Ferrara viene considerata dagli studiosi la prima città moderna d'Europa. L'UNESCO le conferisce il titolo di patrimonio mondiale dell'umanità per la prima volta nel 1995 come città del Rinascimento e successivamente, nel 1999, riceve un ulteriore riconoscimento per il Delta del Po e per le Delizie estensi. Ferrara inoltre è una dei 4 capoluoghi di provincia (assieme a Bergamo, Lucca e Grosseto), il cui centro storico è rimasto quasi completamente circondato dalle mura che, a loro volta, hanno mantenuto pressoché intatto il loro aspetto originario nel corso dei secoli. Ferrara, con Pisa e Ravenna, è anche una delle prime città del silenzio citata nelle Laudi di Gabriele D'Annunzio. Ferrara è antica sede universitaria (Università degli Studi di Ferrara) e sede arcivescovile (Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio). Ospita importanti centri culturali: la Pinacoteca Nazionale del Palazzo dei Diamanti, la sede della Fondazione Ermitage Italia, il Museo Archeologico Nazionale, il Museo del Risorgimento e della Resistenza, il Museo d'Arte Moderna e Contemporanea 'Filippo De Pisis', il Museo della Cattedrale, il Museo Giovanni Boldini e numerosi altri musei. La città contemporanea poggia su un'economia basata sulla produzione agricola e industriale che ne fanno un centro di primaria importanza grazie alla presenza di numerosi impianti industriali presenti nell'area del petrolchimico e della piccola e media impresa. I settori più rappresentativi sono quelli della chimica industriale, dell'industria metalmeccanica, dell'elettrotecnica e dell'industria tessile e alimentare. Inoltre le reti stradali e ferroviarie la inseriscono all'interno del circuito commerciale sia regionale che nazionale grazie alla presenza di adeguate infrastrutture come l'Autostrada A13, lo scalo merci della stazione ferroviaria e gli scali portuali situati a Pontelagoscuro che collegano la città al Po e al Mar Adriatico.
Note sulla sua provincia – Località e monumenti di interesseComacchio
La storia di Comacchio è legata ai primi insediamenti, non autoctoni, quando si stabilì una popolazione etrusca, fondando la città di Spina. Dopo il declino di Spina nel III sec a. C., non ci sono testimonianze di abitati, fino all'età tardo-romana, alla quale risalgono alcune ville riscoperte nelle valli bonificate.
Recentemente è stata rinvenuta a Valle Ponti un'imbarcazione romana, la Fortuna Maris, di epoca augustea, con tutto il carico a bordo, fra cui diverso materiale in laterizio, prodotto proprio dalla popolazione romana.
Comacchio ebbe origine da un insediamento fortificato ( castrum) eretto lungo il fiume a protezione dall'area di influsso longobardo. Le prime evidenze archeologiche riguardanti il villaggio sono del VII-VIII secolo d.C. Il "Capitolare di Liutprando" attesta l'esistenza nell'VIII secolo di una comunità comacchiese dotata di sufficiente autonomia per stipulare a proprio nome accordi commerciali e daziari con il regno longobardo, per il passaggio sul Po delle proprie barche cariche di sale e "garum" (salsa di pesce di antica tradizione).
La ricchezza e l'autonomia di Comacchio era destinata presto ad attenuarsi in quanto troppi potentati limitrofi erano interessati al dominio sulle sue grandi risorse naturali: le valli ricchissime di pesce, il mare, le saline. In seguito alla caduta dell' Impero Romano d'Occidente, Comacchio entrò a far parte dell' Esarcato di Ravenna (a testimonianza restano i monasteri di Santa Maria in Pado Vetere, nella Valle Pega e Santa Maria in Aula Regia) e poi del Regno Longobardo, come attesta il Capitolare di Liutprando, del 715 d. C., nel quale vengono descritte le norme e le tasse da pagare da parte dei Comacchiesi, per il commercio del sale nel Regno.
In questo periodo la municipalità ha periodi di alternanza sotto l'influsso di Ravenna o sotto quello di Ferrara. Sarà destinata a confluire nell'ambito estense come parte del Ducato di Ferrara. Era sede vescovile già all'inizio dell'VIII sec., a conferma di ciò resta una lapide del 708 e sempre in questo periodo vi sono importanti realtà quali il centro religioso di Santa Maria in aula Regia e la cattedrale dedicata a San Cassiano edificata nel 708).
Sconfitti e cacciati i Longobardi, Carlo Magno donò la città lagunare alla Chiesa. L'importanza strategica di Comacchio nella produzione e commercio del sale, fece scoppiare la guerra contro Venezia (866), che durò per secoli: nel 932 le armate della Serenissima rasero al suolo il paese. Divenuto libero comune, nel 1325 gli abitanti fecero un atto di dedizione ai Duchi d'Este, che da quel momento governarono e gestirono i profitti delle valli, mentre la produzione del sale continuava ad essere ostacolata da Venezia.
Dopo la devoluzione estense del 1598, Comacchio appartenne allo Stato Pontificio e, nonostante le ribellioni dei cittadini, cominciò un lungo periodo caratterizzato dall'affitto e subaffitto delle valli a comacchiesi e forestieri, a prezzi spropositati.
La forma attuale la città l'ebbe a partire dal 1630 circa, per iniziativa della Santa Sede, dopo che questa ebbe riavvocato a sé il ducato di Ferrara. Il nuovo governo dei cardinali Legati volle valorizzare lo sbocco a mare del ducato con ambizioni commerciali che si riflettono nell'ampiezza della via che conduce al porto di Magnavacca e nel grandioso Trepponti che è l'entrata monumentale alla città. La quasi totalità dei ponti di pietra risale a questo periodo e cos' altri edifici in pietra, tra cui la loggia in cui si immagazzinava il grano, il colonnato dei Cappuccini, ecc.
Le valli di Comacchio hanno sempre rappresentato la risorsa principale dell'economia locale e la loro gestione fu sempre al centro delle vicende storiche. Quando nel 1797 Napoleone si impadronì del paese e delle valli, i cittadini si ribellarono, guidati da Antonio Buonafede e Guido Manfrini, finchè ottennero la firma del Rogito Giletti (12 luglio 1797), con il quale la repubblica Francese vendeva alla cittadinanza tutte le valli. Ancora oggi il Rogito è l'unico documento che sancisce la proprietà del Comune sulle valli. La gestione era difficoltosa: fenomeni di salsedine e morie di pesci costrinsero il comune a rivolgersi alla Camera Apostolica, la quale, nel 1853 la affida al Ministero delle Finanze.
Non si può non citare a questo punto la vicenda di Garibaldi, che nel 1849 sbarcò a Magnavacca, chiamato poi Portogaribaldi, con la moglie in fin di vita. I comacchiesi diedero loro rifugio (al Lido delle Nazioni c'è ancora il Capanno di Garibaldi), finché Anita morì in località Mandriole.
Con la rotta del fiume Reno e la riduzione del pescato, il Governo cedette le valli al Comune, che dovette accollarsi i lavori di riassetto idrografico. Si rendevano necessarie le opere di bonifica, intraprese senza risultato anche dagli Estensi: il primo progetto risale al 1865 e si riferisce al prosciugamento di circa 20.000 ettari. Un'altra ingente opera si è compiuta dal 1913 ed interessò più di 8.000 ettari. Nel primo dopoguerra riaffiorò la necropoli di Spina, dal prosciugamento di valle Trebba e nel secondo dopoguerra dalla bonifica di valle Pega. Le ultime bonificazioni sono quelle della valle del Mezzano (18.000 ettari) e risalgono agli anni Sessanta.
Oggi sono 11.000 gli ettari allagati, mentre più di 60.000 sono stati strappati alle acque. Da questo momento l'economia cambia radicalmente: accanto alla pesca come fonte principale di guadagno si inseriscono l'agricoltura e il turismo balneare, sui sette lidi di Comacchio. A partire dagli Anni '80 la cittadina lagunare è meta anche di un turismo naturalistico, legato al Parco del Delta del Po, di cui Comacchio è il cuore. Ponti, canali, strade e case vivacemente colorate le conferiscono i connotati di vera città lagunare, quasi una piccola Venezia, peculiare anche per le sue emergenze culturali ed architettoniche.
TREPPONTI O PONTE PALLOTTA Autentico emblema di Comacchio, voluto dal Cardinale legato Giovan Battista Pallotta nel contesto della cosiddetta rinascita urbanistica. Il manufatto di laterizio, innalzato intorno al 1638 dal cappuccino Giovanni Pietro da Lugano su disegno dell'architetto Luca Danese di Ravenna, costituisce il punto di unione tra il canale navigabile "Pallotta", proveniente dal mare, ed il centro della città, in quanto sotto la sua unica volta si distribuiscono le vie d'acqua interne, per mezzo di una fitta rete di canali. Comprende cinque ampie scale (tre anteriori e due posteriori) ad arco a tutto sesto, che consentono di raggiungere la sommità, in pietra d'Istria.
PONTE DEGLI SBIRRI Eretto nel 1631-1635 e progettato dall'architetto Luca Danese di Ravenna per volere del Cardinale Pallotta, è un manufatto originale costituito da tre arcate in mattoni e pietra d'Istria. Il "ponte delle Carceri o degli Sbirri" prende il nome dalle prospicienti carceri mandamentali, che un tempo ospitavano i detenuti di Comacchio, per la maggior parte pescatori di frodo o "fiocinini". Sul Ponte degli Sbirri si innesta un quadrivio di canali che costituisce lo snodo d'acqua principiale della città, da cui era possibile navigare in direzione del mare a est, verso il centro a nord, verso le Valli a sud, attraverso la Porta San Pietro, verso la zona destinata ai mercati a ovest. Da qui si stende verso sud il bellissimo quartiere di San Pietro, rimasto integro nel tempo. Sul quadrivio si affaccia la maggiore concentrazione di emergenze architettoniche.
PONTE DEI SISTI Costruito nel XVIII secolo, collega via Agatopisto con via Buonafede. Ad arcata unica, interamente di mattoni e discretamente conservato.
PONTE DEL CARMINE E PONTE PIZZETTI Situati rispettivamente a lato e in fregio della Chiesa del Carmine, sono tra i maggiori della città, anche se non tra i più complessi, essendo ad arcata unica, interamente in mattoni. Entrambi risalgono al XVIII secolo. Recentemente restaurato il Ponte Pizzetti.
PONTE DEL TEATRO Eretto nel XVIII secolo, unisce via Cavour e via Carducci. Presenta una sola arcata posta obliquamente alle sponde.
ABBAZIA DI POMPOSA L'antico monastero benedettino di Pomposa comprende oggi la Basilica con l'Atrio, il Campanile romanico, la Sala del Capitolo, la Sala a Stilate, il Refettorio, il Dormitorio ed il Palazzo della Ragione. Questi edifici ospitarono nel Medio Evo un centro di spiritualità e cultura tra i più importanti al mondo. Eventi climatici favorevoli avevano permesso fra il VI ed il VII sec. l'insediamento di un gruppo di monaci benedettini provenienti da Ravenna, che avevano scelto un'isola fra il Po ed il mare che per la usa tranquillità favoriva meditazione e laboriosità. La prima notizia scritta su Pomposa è però dell'anno 874 e riguarda una controversia giurisdizionale tra il Vescovo di Ravenna ed il Papato. Durante il secolo successivo il vitale monastero preparava la sua totale indipendenza da San Salvatore di Pavia e da Ravenna, che avveniva nel 1001, grazie all'accordo sottoscritto dall'Imperatore Ottone III ed il Papa Silvestro II. Donazioni e privilegi accrescono la potenza economica pomposiana anche nelle limitrofe zone del Veneto e della Romagna. Agli inizi del XIV sec. Pomposa aveva giurisdizione su 49 chiese sparse nell'Italia centro - settentrionale. Con l'avvento di San Guido degli Strambiati ad abate di Pomposa (1008-1046) inizia il periodo più fecondo dell'abbazia benedettina, che sarà visitata in seguito da personaggi importanti, come ad esempio San Pier Damiani e Dante Alighieri. Nello stesso periodo, fu monaco Guido d'Arezzo al quale si deve "l'invenzione" delle note musicali. Molto famosa fu anche la ricca Biblioteca del monastero, che vide qui rifiorire studi classici, letterari, religiosi, per poi andare irrimediabilmente dispersa. Il Palazzo della Ragione, costruito alquanto discosto dal complesso monastico, è testimonianza dell' esercizio della giustizia da parte dell'Abate sui territori sottoposti al monastero. Nei secoli dello splendore dell'Abbazia fiorirono le arti architettoniche e pittoriche, che ci hanno lasciato soprattutto i meravigliosi cicli trecenteschi della Basilica, del Refettorio e della Sala del Capitolo. Quindi, in seguito ad eventi catastrofici, culminati con la cosiddetta rotta del Po a Ficarolo, che si fa risalire al 1152, l'interesse economico e culturale abbandona il territorio costiero, oramai invaso dalle acque, e i monaci lascia Pomposa alla volta del nuovo convento di S.Benedetto di Ferrara (1553). Il recupero dell'Abbazia fu poi attuato a partire dalla fine dell' '800, quando tutti i fabbricati vennero acquisiti dal Demanio e riportati a nuova vita. Infine fu istituito nel 1976 il Museo Pomposiano che raccoglie, nel grande vano dell' ex Dormitorio dei frati, resti scultorei, dipinti ed altre opere d'arte legate alla storia del Monastero.
CASTELLO DELLA MESOLA Il complesso del Castello della Mesola venne edificato intorno al 1578, ultimi anni dello splendore della Casa d'Este, per volere di Alfonso II. La "Delizia" nasce per accogliere la Corte Estense, che qui si trasferiva per dedicarsi agli svaghi e alle imponenti cacce e pesche organizzate nella foresta circostante e sul litorale. Agli equipaggi e al personale di Corte erano riservate le due ali aperte sulla corte di servizio a formare un ampio semiottagono di portici destinato ad accogliere il mercato, come avviene a tutt'oggi nella giornata di sabato. Racchiusa dagli edifici porticati della corte si impone massiccio il Palazzo, segnato dalle quattro torri merlate. Il complesso architettonico del Castello di Mesola ( che comprendeva un perimetro di mura di oltre 9 miglia ) è ciò che resta dell'ambizioso progetto urbanistico di Alfonso II d'Este, che qui intendeva edificare quella che sarebbe risultata la più grande città del Rinascimento italiano. Oggi il Castello ospita il Centro di Educazione Ambientale (C.E.A.) ed il Museo del Bosco e del Cervo delle Dune.
DELIZIA DI BELRIGUARDO La Delizia di Belriguardo fu voluta dal marchese Niccolò III d'Este e venne utilizzata come residenza estiva di tutta la corte estense e come villa di rappresentanza. La posa della prima pietra risale al 1435, anche se la struttura subì continue rivisitazioni ed ampliamenti nel corso degli anni, ad opera dei successivi duchi di casa d'Este. Vi soggiornò sovente Lucrezia Borgia. La particolarità della residenza estiva di Belriguardo era di presentare un ingresso stretto (quello presente ancora oggi, sotto il torrione), il primo cortile porticato su tre lati ed il secondo cortile porticato su quattro lati: è la pianta di una villa greco orientale edificata secondo il gusto tardo medievale. Tra palazzi e giardini, Belriguardo aveva una superficie complessiva di almeno quaranta ettari. Nella seconda metà del '500 nella Delizia di Belriguardo ha dimorato anche il poeta rinascimentale italiano Torquato Tasso, il quale visse diversi anni tra questa delizia estense, dove amava ritirarsi, e Ferrara, dove risiedeva la corte. Da notare che proprio in questa residenza estense è ambientata l'opera teatrale di Johann Wolfgang von Goethe chiamata, appunto, Torquato Tasso. La magnificenza della Delizia di Belriguardo subì un brusco arresto quando gli Estensi furono costretti a lasciare Ferrara nel 1598. Belriguardo fu lasciata in enfiteusi a proprietari terrieri del luogo i quali la utilizzarono principalmente come fattoria, trasformando sale affrescate dai maggiori maestri del '500 ferrarese in stalle e granai. Tutto ciò che c'era di prezioso e ormai inutile al nuovo utilizzo del complesso fu venduto. Belriguardo è giunta fino a noi malgrado progressivi crolli, riadattamenti e demolizioni grazie al fatto che venne frazionata in numerose abitazioni private. Ciò che è rimasto di Belriguardo è ancora visibile, ma la lettura del complesso originale risulta talmente compromessa da non essere quasi più individuabile. I resti dell'antica delizia ancora oggi visibili sono i seguenti: la torre al centro, dalla quale gli Estensi osservano gli spettacoli nella peschiera sottostante alimentata dall'acqua del fiume Sandalo; le sei finistre gotiche della fine del '400; la Sala della Vigna, l'unico ambiante che ha restitiuto qualche testimonianza dell'antico splendore.
DELIZIA DEL VERGINESE Venne costruita sotto forma di semplice casale agricolo presso i fiumi Primaro e Sillaro già alla fine del '400 ed era quindi raggiungibile da Ferrara via acqua. Poi sotto il duca di Ferrara Alfonso I d'Este venne rimaneggiato forse da Girolamo da Carpi e assunse il suo massimo splendore. In quel periodo furono costruite le torri angolari a pianta quadrata, gli eleganti timpani alle finestre e il bugnato in laterizio che incornicia porte e torri. Alfonso lo donò alla colta cortigiana Laura Dianti che consolò e accompagnò il Duca dopo la morte della moglie Lucrezia Borgia e che vi risiedette fino alla morte. Laura Dianti è stata identificata in un dipinto di Tiziano, che venne chiamato da Alfonso per ritrarre la dama che forse Alfonso sposò poco prima di morire. Alla morte di Laura Dianti nel 1573 il complesso passò al figlio Alfonso e da questi, per via diretta, al nipote Cesare d'Este, duca di Modena, che nel 1590 la cedette in parte alla famiglia Picchiati e in parte ai Marchesi di Bagno. Nei secoli seguenti la tenuta passò di mano in mano fino al 1771 quando la famiglia Bargellesi costruì il portico ad arcate che unisce la chiesetta al castello e il pianterreno venne decorato con ornati in stucco. Nel primo '900 le sale del piano nobile e l'interno della chiesa vennero abbellite con decorazioni pittoriche. Durante il secondo conflitto mondiale il complesso fu occupato prima da truppe militari poi da sfollati ed infine diventò un ricovero per animali. L'ultimo proprietario l' Avv. Enrico Fontana cedette la villa all' Amministrazione Provinciale di Ferrara che la ristrutturò alla fine degli anni ottanta del secolo scorso.
Quando un giardino diventa un…paradiso dei ricordi. È un vero e proprio percorso mentale biancazzurro il giardino ideato da Gualtiero Piacentini ad Albarea, precisamente nella borgata della “Pacchenia” lungo la via Pomposa tra campi di grano e immensi frutteti.
Un giardino realizzato a più riprese dal 1994, ma dedicato all’impresa compiuta dalla Spal nella stagione 2015/2016, ovvero la promozione in serie B dopo più di vent’anni di assenza. Infatti, ogni albero, cespuglio o arbusto porta il nome di un protagonista di quella impresa, a partire dai giocatori più determinanti fino alla signora delle pulizie. Una passione viscerale quella di Gualtiero per il mondo spallino che ha concepito il suo giardino come un percorso tra i ricordi, come un passaggio dall’inferno al paradiso che, grazie alla famiglia Colombarini, è culminato con la promozione in Serie A della squadra di Semplici.
Infatti il parco, pur focalizzandosi sulla stagione 2015/16, continua ad essere aggiornato seguendo gli sviluppi del percorso della squadra di Semplici. Ecco che l’ingresso all’area è realizzato con siepi di gelsomino cresciute in modo da formare tre grandi “A”. Ad ogni essenza arborea è apposta una targhetta che riporta il nome scientifico della pianta e la dedica fatta sulla base delle caratteristiche che accumunano la pianta alla persona alla quale è dedicata.
Il culto della Spal di Piacentini si esprime anche nel “tempio degli immortali”, una nicchia in mezzo alle siepi in cui sono ricordati i personaggi chiave della scalata biancazzurra: Semplici, Francesco e Simone Colombarini e l’ex capitano Antenucci.
Il tutto è stato realizzato a mano per una ben precisa finalità benefica. Gualtiero Piacentini infatti è da anni un impegnatissimo volontario Ado e recentemente si è occupato della realizzazione del giardino della nuova Casa del Sollievo. Tutte le offerte che i visitatori lasciano dopo avere visitato il parco e dopo avere sentito la sua intima spiegazione saranno devolute all’Ado per la continuazione dei tanti progetti che la Fondazione sta portando avanti.
L’obiettivo di Piacentini è quello di far conoscere il particolare parco tematico. “È difficile spiegare a parole questo luogo, solo vedendolo si capisce il senso di questa mia realizzazione che continua ad evolversi – spiega Gualtiero- . Il mio desiderio è di mostrare questo luogo ai protagonisti biancazzurri ai quali è dedicato. Spero di potere realizzare anche qualche iniziativa insieme alla Spal per far sì che questo luogo sia un posto della memoria per tutti i tifosi”. Il periodo migliore per visitare il giardino è nei mesi da marzo a settembre. Per effettuare la visita guidata è sufficiente contattare Gualtiero Piacentini al 347 2949879.